Un regime di allenamento intensivo della durata di 16 settimane ha dimostrato di ridurre sia il dolore che la disabilità percepita, oltre a migliorare gli aspetti psicologici nei pazienti che soffrono di lombalgia cronica.

 Questi sono i risultati preliminari di uno studio canadese in pazienti che soffrono di lombalgia e presentati all’ultimo World Congress on Pain che si è tenuto a Boston, in Massachusetts.

 I ricercatori hanno reclutato 19 pazienti, principalmente donne (15, di età compresa tra 22 e 70 anni), che soffrivano di lombalgia cronica aspecifica da almeno un anno. Ogni partecipante è stato sottoposto a una valutazione fisica completa e a risonanza magnetica, quindi ha completato un programma di allenamento di 16 settimane che comprendeva una combinazione di esercizi cardiovascolare e di forza.

 Il programma di allenamento si svolgeva tre volte a settimana con sessioni della durata di un’ora. Tutte le sessioni sono state eseguite individualmente, in presenza di un kinesiologo che ha monitorato il progresso fisico dei pazienti. Ogni partecipante ha anche completato il Beck Depression Inventory, uno strumento di autovalutazione che consente di misurare la gravità della depressione, la Pain Catastrophizing Scale, la Tampa Scale for Kinesiophobia e l’Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire, sia all’inizio che alla fine del programma.

 

RISULTATI

 Una volta completate le 16 settimane del programma di allenamento, i punteggi medi del dolore lombare sono diminuiti in misura significativa (p=0,01), così come l’Oswestry Disability Index (p=0,06) e i punteggi di kinesiofobia (p=0,04).

 La Tampa Scale for Kinesiophobia è un parametro di valutazione internazionale per misurare il grado di kinesiofobia, ossia la paura cronica del movimento, una persistente e costante preoccupazione del tutto ingiustificata nel dover compiere movimenti per paura di procurarsi dolore o danni. Comporta maggiore disabilità, maggiore percezione del dolore fisico, incremento dei sintomi depressivi correlati a pensieri nefasti, diminuzione dell’autosufficienza e limitazione nei movimenti.

 L’analisi preliminare ha anche rivelato miglioramenti nei punteggi della Pain Catastrophizing Scale che misura la “catastrofizzazione del dolore”, ovvero la tendenza ad amplificare il timore di uno stimolo doloroso e la paura di sentirsi impotenti in presenza di dolore, oltre che da una relativa incapacità di prevenire o inibire i pensieri legati al dolore prima, durante o dopo un evento doloroso.

 Successivamente volevano vedere se, l’iniziale percezione catastrofica del dolore o la disabilità percepita, erano in grado di predire il grado di cambiamento dopo l’esercizio fisico.

Dopo aver controllato gli effetti dell’esercizio fisico sui punteggi di catastrofizzazione del dolore, gli effetti dell’attività fisica sul dolore perdevano di significatività (p=0,357). Secondo gli autori questi risultati suggeriscono che gli effetti dell’attività fisica potrebbero essere almeno in parte mediati dai cambiamenti nella percezione catastrofica del dolore.

 Quindi, quanto più è elevata la catastrofizzazione del dolore iniziale, tanto maggiore è il cambiamento nella loro disabilità percepita e quanto maggiore è la loro disabilità percepita, tanto più grande sarà l’impatto dell’allenamento fisico. Questo risultato sembra andare di pari passo con la teoria della vulnerabilità secondo la quale più un paziente è vulnerabile, maggiori saranno i cambiamenti che otterrà.

 

CONCLUSIONE

 La parte più incoraggiante dello studio è stata vedere come è migliorata la qualità di vita dei partecipanti.

«Si rendono conto della vita sedentaria che avevano condotto finora e a quali limitazioni fossero costretti. Poi, dopo il programma, si rendono conto che il dolore è solo una parte della loro vita e che non deve necessariamente limitarli» afferma Anna Bendas della McGill University a Montreal (Canada).

Dott.ssa Francesca Vespasiano

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