COS’E’ LA FASCIA?

È uno strato di tessuto connettivo con duplice funzione, difatti tiene salde strutture come muscoli, vasi sanguigni e nervi, e al tempo stesso permette ad altre di scivolare delicatamente l’una sull’altra.

A seconda della sua funzione e localizzazione anatomica si distingue una:
– fascia superficiale;
– fascia assiale;
– fascia meningea;
– fascia viscerale.

La prima, detta anche pannicolare, si trova al di sotto della cute e circonda l’intero corpo ad eccezione degli orifizi (come le orbite oculari); la seconda (definita anche profonda) corrisponde al secondo strato fasciale del tronco, a livello degli arti è chiamata “appendicolare“. Prende il nome della regione anatomica in cui si trova (fascia lombare, fascia brachiale ecc…) e avvolge il muscolo, le ossa, i tendini ed i legamenti; la terza circonda sostiene e protegge le strutture neurali; la quarta, chiamata anche splancnica, si estende dalla base del cranio al bacino e riveste le cavità del tronco, i visceri, ghiandole e vasi sanguigni.

 Si comprende bene come la fascia non sia affatto un tessuto passivo, ma influenzi le dinamiche delle strutture con cui è a contatto (non solo direttamente).

 È definita come un sistema fluido tensionale in quanto possiede una propria vita, un proprio metabolismo, e trasmette potenziali d’azione piezoelettrici (generati dalla deformazione meccanica che si crea) tra cellule della fascia stessa (effetto diretto). Al tempo stesso, se non ostacolata, è caratterizzata da ritorno elastico quando sottoposta ad una tensione elettrica (effetto piezoelettrico inverso o effetto Lippmann).

La fascia si estende senza alcuna interruzione dalla testa alla punta delle dita del piede. Possiamo infatti immaginarla come una tuta aderente, elastica, viscosa e resistente.

Si basa sul concetto di tensegrità (tensile + integrity), coniato nel 1995 dall’architetto Richard Buckminster-Fuller, secondo cui un sistema è capace di stabilizzarsi meccanicamente tramite forze di tensione e decompressione che si bilanciano fra loro. Forze trasferite da un livello più alto ad uno più basso, per poi tornare come erano in origine.

COME INFLUISCE SULLA POSTURA?

Il concetto di tensegrità è presente già a livello del citoscheletro. Myers, facendo riferimento al modello di Buckminster-Fuller, ma riportando il tutto su un piano macroscopico, paragona gli assi rigidi (le barre) alle ossa e le strutture flessibili (i cavi) al sistema miofasciale.

La fascia è riccamente innervata, ciò fa sì che ci sia una stretta relazione con il nostro Sistema Nervoso.
Questo rapporto permetterà che le informazioni provenienti dalla fascia, dette informazioni cinestesiche, saranno analizzate ed il sistema risponderà inviando degli impulsi ai muscoli, generando movimento.

 Essendo la fascia un “sistema vivo”, può andare in contro ad alterazioni del suo stato di salute, dando vita a zone dense che impediscono lo scorrere indisturbato di questa.
Se il movimento è compromesso o limitato, le terminazioni nervose di quella zona non saranno adeguatamente stimolate, quindi non giungeranno le giuste informazioni all’encefalo, che muoverà quella parte in modo anomalo.

Se la condizione precedentemente descritta perdura nel tempo, una fascia retratta può inficiare sulla postura determinando delle modificazioni permanenti che possono causare squilibri posturali.

MA COSA SI INTENDE PER POSTURA?

Moshe Feldenkrais indica la postura come “attura”.
La intendeva come adattamento dinamico del sistema corpo-mente nella continua interazione con l’ambiente, non più come un fenomeno statico.
Fu così che creò il termine “attura” come sintesi di azione e postura.

 Una “buona postura” indica dunque una capacità di assestamento efficiente rispetto ai continui stimoli esterni (e interni) per il mantenimento di un equilibrio (statico e dinamico) e per muoversi dunque con miglior economicità.

 

Dott.ssa Francesca Vespasiano

 

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