Paralisi di Bell: cos’è e rimedi

Paralisi di Bell: cos’è e rimedi

 

 

Un blocco improvviso della mimica del lato destro o sinistro del volto e con una ridotta capacità di movimento di questi tessuti. Sono queste le caratteristiche principale di chi viene colpito dalla paralisi di Bell, una condizione che al giorno d’oggi non si riesce a prevenire e non si cura con facilità.

La paralisi di Bell è una paralisi periferica del nervo facciale, che è il settimo degli undici nervi cranici, che colpisce soggetti adulti con maggiore prevalenza per il sesso maschile e quasi sempre in modo unilaterale. Solitamente si tratta di una paralisi periferica, poiché l’interessamento è distale rispetto al cervello.

 

 Quali sono i segni clinici di questa patologia?

I segni clinici della paralisi di Bell si sviluppano molto rapidamente, ed entro le 48 ore raggiungono il loro picco massimo che può variare da una lieve distorsione della mimica facciale a un vero e proprio distorsione del volto:

  • Fronte liscia
  • Bulbo oculare rivolto verso l’alto
  • Sensazione di intorpidimento e debolezza del lato colpito
  • Abbassamento della palpebra
  • Difficoltà e a volte impossibilità a chiudere l’occhio, questo causa una secchezza dell’occhio
  • Piega naso labiale piatta
  • Abbassamento della bocca (dal lato colpito)
  • Scialorrea: ampia produzione di saliva
  • Dolore locale, diffuso e difficile da localizzare. Comprende la regione dell’orecchio, della mascella e della mandibola.
  • Difficoltà a parlare
  • Difficoltà a mangiare e a bere
  • Alterazione del senso del gusto

 

La durata della patologia è molto soggettiva, oscilla dalle due settimane nei casi più fortunati fino ai 5 mesi per i più sfortunati. Ci sono alcuni casi in cui la paralisi può protrarsi anche oltre i 7 mesi.

 

Quali sono le cause della paralisi di Bell?

Ti sembrerà strano, eppure ad oggi non è stata ancora riconosciuta una causa ben precisa per questa patologia.

Quel che è certo è che spesso la paralisi di Bell è in concomitanza di un’infezione virale del Virus Herpes Simplex, il virus Herpes zoster (che provocano la varicella e il fuoco di Sant Antonio) e il virus Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi, conosciuta anche come malattia del bacio.

Sono stati riconosciuti altri fattori di rischio che possono facilitare l’instaurarsi della paralisi di questo nervo come:

  • Stati influenzali;
  • Ipertensione;
  • Patologie infettive all’orecchio;
  • Patologie di Lyme;
  • Rosolia 
  • Farmaci
  • Idiopatica
  • Diabete
  • Neoplasie: come, ad esempio, il tumore della ghiandola parotide Sarcoidosi Traumi al cranio o al volto.

 

Fisioterapia: quali sono i rimedi per la paralisi di Bell?

La fisioterapia per la paralisi di Bell spesso avviene in concomitanza a una copertura farmacologica di antivirali o di corticosteroidi. Si ritiene che i corticosteroidi abbiano un ruolo fondamentale nel limitare la progressione della malattia se presi entro i primi due giorni dall’esordio.

Infatti se dovessi ritenere di essere affetto da questa condizione, recati prima possibile dal medico di base o al pronto soccorso, ogni ora che passa potrebbe risultare vitale per il tuo recupero. È molto importante garantire una protezione della cornea a causa dell’incompleta chiusura dell’occhio. Per questa ragione è indicato dal medico un utilizzo costante della lacrima artificiale, della soluzione fisiologica isotonica, di gocce di metilcellulosa e di creme specifiche che hanno lo scopo di igienizzare l’occhio e di mantenerlo lubrificato.

Soprattutto durante il sonno o nell’esposizione all’aria aperta, si consiglia di portare una benda, o un cerotto che copra l’occhio, riducendone notevolmente il rischio di irritazione o di infezione.

 

 

L’approccio Kabat 

Nonostante sia un metodo ideato a metà del secolo scorso dal medico neurologo americano Herman Kabat, è ancora oggi molto utilizzato dai fisioterapisti per il trattamento di questa condizione. L’idea di questo approccio fisioterapico è scaturita a seguito dello studio e dell’osservazione dei movimenti degli atleti, che fece giungere Kabat alla conclusione che il movimento volontario è il risultato di un lavoro sinergico di più muscoli secondo delle traiettorie spirali o diagonali rispetto all’asse del corpo. Pensa ad esempio al movimento che esegue un giocatore di golf mentre colpisce la palla, al tiro di un calciatore, o alla schiacciata di un giocatore di pallavolo: sono tutte movimento spiraliformi!

Questo approccio utilizza degli “schemi base”, che sono dei movimenti spirali e diagonali, dove al massimo allungamento muscolare segue il massimo accorciamento. In questo modo, con il costante aiuto manuale e verbale del fisioterapista, si riesce a riabilitare la corretta funzione e sinergia muscolare.

Questo razionale è molto utilizzato nel recupero del movimento dei muscoli interessati dalla paralisi del nervo facciale. Il fisioterapista mediante delle stimolazioni manuali, aiuta il paziente a recuperare la mobilità della parte del volto interessata.

Nelle prime fasi la metodica è applicata con il paziente supino sul lettino in modo che possa avere il massimo del rilassamento, mentre successivamente il paziente lavora da seduto e difronte ad uno specchio in modo che possa avere il massimo dei feedback riguardo l’esecuzione del movimento.

Non è un percorso breve, nelle condizioni di paralisi importanti sono necessari mesi di riabilitazione, che risultano essere indispensabili per consentire al paziente di recuperare il massimo della funzionalità.

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/patologie/testa/paralisi-di-bell/ 

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Dito a Scatto : cause e cura

Dito a Scatto : cause e cura

Quella che tutti conosciamo comunemente come “dito a scatto” in termini medici è una condizione che prende il nome di  “tenosinovite ” e riguarda le pulegge e i  tendini  della  mano, in particolare quelli deputati al movimento di flessione delle dita.

Cosa sono le pulegge?

Le pulegge sono dei “tunnel” fibrosi entro i quali scorrono i tendini delle dita della mano.

Cosa sono i tendini?

I tendini sono quella porzione di muscolo che unisce il ventre muscolare all’osso. I tendini flessori delle dita della mano originano tutti dal gomito, precisamente dall’epitroclea, che è una prominenza ossea situata nella parte laterale dell’estremità distale dell’omero.

Dal gomito, attraversando l’avambraccio, i muscoli epitrocleari arrivano fino alla mano e alle dita.

 

Quali sono i sintomi del dito a scatto?

Il sintomo più evidente di questa condizione è quello per cui è conosciuta la patologia, ossia lo “scatto”. A causa di un rigonfiamento in un punto specifico nella guaina tendinea della puleggia, il tendine ha sempre maggiore difficoltà a scorrere. Quando attraversa l’area ristretta, il tendine è schiacciato e questo produce dolore. Se questa condizione viene protratta, oltre al dolore il paziente noterà un vero e proprio impedimento meccanico allo scorrere del tendine che non trovando sufficiente spazio tenderà a bloccarsi per poi scorrere improvvisamente producendo un movimento “a scatto”.

SI verifica dunque un circolo vizioso per il quale l’infiammazione che ha prodotto l’ispessimento della guaina infiamma il tendine che trova difficoltà nello scorrimento all’interno di essa. In alcuni casi il tendine si blocca nel movimento di flessione e il paziente ha molta difficoltà a farlo tornare alla posizione di partenza.

Nei casi più avanzati è ben visibile la presenza di un nodulo in prossimità dell’ispessimento della puleggia del tendine. Il dolore è presente non solo al movimento ma anche alla palpazione, e in condizioni acute il paziente avverte sintomatologia algica anche con il dito a riposo.

 

Quando e perché viene il dito a scatto?

Le cause del dito a scatto sono ancora oggi molto dubbie, sicuramente sono noti fattori di rischio come:

  • Subire microtraumi ripetuti nel tempo;
  • Effettuare professioni in cui si eseguono lavori manuali per molte ore al giorno come il manovale, l’elettricista, il cuoco, il massaggiatore, pasticcere, idraulico, ma anche chi lavora molte ore al pc;
  • Presenza di patologie come: artrite reumatoide, artrite psoriasica, diabete, gotta ecc.;
  • Età superiore ai 30 anni.

 

Quali sono i rimedi per il dito a scatto?

L’obiettivo del processo di cura in questo caso è la riduzione/scomparsa del dolore e dell’ispessimento della puleggia. Ci sono due tipi di approccio per questa patologia:

  • terapia conservativa con metodi fisioterapici e farmaceutici;
  • terapia con la chirurgia mininvasiva.

Il tipo da approccio con il quale procedere dipende da caso a caso, ma è sempre consigliabile tentare un primo ciclo di fisioterapia, anche nei casi più gravi, poiché anche se non si riuscisse a far passare del tutto i sintomi sicuramente contribuirebbe ad un miglioramento della condizione clinica.

 

Come curare il dito a scatto senza intervento: la fisioterapia

Il ciclo fisioterapico per questa patologia è costituito dall’integrazione di tecniche di terapia manuale, mezzi fisici ad alta tecnologia, esercizi specifici e ortesi.

Le tecniche di terapia manuale come le mobilizzazioni in trazione, il massaggio e il trattamento di trigger point hanno lo scopo di ridurre la tensione e la rigidità dei tessuti, recuperando il più possibile la disfunzione di movimento che caratterizza questa condizione.

I mezzi fisici ad alta tecnologia hanno lo scopo di controllare l’infiammazione e ridurre il dolore mediante la stimolazione biologica del tessuto. I device più utilizzati per questa condizione sono:

  • Tecarterapia: la parola TECAR è Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo, si tratta di un dispositivo che emette onde elettromagnetiche ad alta frequenza, le quali si ipotizza che generino sul tessuto trattato tre tipi di stimoli biologici:

– chimico: una normalizzazione del potenziale di membrana, gli scambi cellulari tendono ad alterarsi in stati infiammatori;

– termico: per un richiamo di sangue che avviene nella regione trattata. Questo effetto consente un aumento del microcircolo e della temperatura tissutale locale. Considera che il calore profondo (endogeno) che si avverte nel trattamento, oltre che ad avere un impatto curativo è molto piacevole e rilassante, tanto che spesso alcuni pazienti si addormentano;

– meccanico: a seguito del trattamento risulta essere più semplice trattare e mobilizzare i tessuti.

  • Ipertermia: utilizza onde elettromagnetiche a una frequenza ben precisa. Come la tecar, anche l’ipertermia genera calore endogeno, dando però maggiore specificità al trattamento poiché il terapista può scegliere la profondità e la temperatura con cui stimolare il tessuto bersaglio. A differenza della tecar, l’ipertermia offre solo trattamenti statici e localizzati.
  • Ultrasuoni: come suggerisce il nome, gli ultrasuoni stimolano il tessuto mediante l’utilizzo di onde acustiche. Si tratta di terapie localizzate in punti specifici.
  • Laser ad alta potenza: questo dispositivo stimola il tessuto mediante l’utilizzo di onde luminose ad alta potenza. Il laser, generando un raggio luminoso di circa mezzo centimetro di diametro è altamente specifico e allo stesso tempo non è indicato per trattare vaste aree.
  • Gli esercizi specifici hanno l’obbiettivo di migliorare l’equilibrio di forza muscolare, alcuni esercizi riguardano l’allungamento dei tessuti mentre altri riguardano il rinforzo di alcuni gruppi muscolare che risultano troppo deboli. Di solito il fisioterapista consiglia al paziente anche delle posizioni specifiche da adottare a casa e dei comportamenti da evitare, che potrebbero esacerbare la propria condizione.
  • Le ortesi più utilizzate in questi casi sono dei tutori, più o meno rigidi, che hanno lo scopo di ridurre il carico sul tendine infiammato.

Normalmente per questo tipo di condizione si prescrivono cicli da dieci sedute a cadenza bisettimanale, in alcuni casi i fisioterapisti consigliano al paziente di effettuare tre sedute a settimana per le prime due settimane (in modo da dare uno stimolo importante al tendine infiammato) e poi procedere con una frequenza bisettimanale.

 

Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/patologie/polso-e-mano/dito-a-scatto/ 

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Cause del Dolore alla Spalla

Cause del Dolore alla Spalla

La spalla è senza dubbio l’articolazione più complessa del corpo umano. La sua ampia gamma di movimenti è possibile grazie alla complessità della sua anatomia.

L’articolazione della spalla è a sua volta suddivisa in 5 articolazioni:

✔️l’articolazione scapolo omerale

✔️l’articolazione acromion-clavicolare

✔️l’articolazione sterno-clavicolare

Queste prime 3 articolazioni, che sono definite “vere”

✔️l’articolazione sotto deltoidea

✔️l’articolazione scapolo-toracica

Mentre le altre 2 articolazioni sono dette “false”.

Le 5 articolazioni sono tenute insieme da una serie di legamenti, strutture tendinee e muscolari che ne permettono, nello stesso tempo la stabilità e il movimento. L’anatomia delle ossa, dei muscoli e dei nervi della spalla è importante per poi capire le varie patologie di questo distretto corporeo, individuare e interpretare i sintomi che derivano dalle sue strutture ed infine permette al medico e al fisioterapista di trovare la migliore soluzione per ogni caso clinico.

Oggi la diagnosi di un dolore alla spalla è molto più preciso di un tempo. Fisioterapisti, ortopedici e fisiatri possono capire l’origine dei sintomi del dolore alla spalla attraverso test specifici di movimento e di evocazione del dolore.

 

Dolore alla spalla e la lesione cuffia dei rotatori

La cuffia dei rotatori è un gruppo di quattro muscoli che dalla scapola si inseriscono sull’omero (osso del braccio).
I muscoli della cuffia sovraspinoso, sottospinoso e piccolo rotondo sono extrarotatori, cioè con la loro contrazione si occupano di ruotare esternamente il braccio, mentre il muscolo sottoscapolare, chiamato così perché origina nella superficie interna della scapola – quella che è a contatto con la gabbia toracica, è l’unico intrarotatore.

Essendo i principali muscoli stabilizzatori della spalla, e in particolare dell’articolazione glenomerale, possono andare incontro a condizioni infiammatorie e a lesioni. Le patologie della cuffia dei rotatori possono avvenire a causa di eventi traumatici o a causa di problematiche croniche.

La fisioterapia per la cuffia dei rotatori solitamente è un percorso lungo e impegnativo, soprattutto se si trattasse di lesione. Infatti se la lesione è importante, è necessaria la riparazione chirurgica! L’obbiettivo di questo percorso riabilitativo è quello di ripristinare un corretto movimento dell’articolazione e recuperare un adeguato tono muscolare che consenta al paziente di poter effettuare tutte le attività di vita quotidiana.

Il raggiungimento di questo traguardo avviene mediante tecniche manuali specifiche, integrate a mezzi fisici e esercizi terapeutici.

 

Dolore alla spalla e impingement sub-acromiale

Il dolore avvertito nella parte anteriore e laterale di spalla è considerato generalmente essere causato dal fenomeno dell’impingement (conflitto) tra il tendine del muscolo sovraspinato situato sopra la testa dell’omero e un osso denominato acromion presente nella parte anteriore e superiore della scapola.

I segni e sintomi sono vari e non ben definiti, per questo si definisce sindrome del conflitto sub-acromiale: infatti si può registrare un dolore a braccio elevato, debolezza ai muscoli della spalla in caso di attività oppure dolore notturno soprattutto riposando in decubito laterale sopra la spalla dolente.

Attualmente non è più accettata la teoria del conflitto per varie ragioni, come ad esempio la mancanza di prevalenza delle lesioni del tendine nella zona sotto l’acromion e si preferisce definirla “Sindrome dolorosa antero-laterale di spalla” anziché “Conflitto sub-acromiale”, questo secondo alcuni autori anche per favorire una comunicazione verso il paziente meno “aggressiva” da parte del medico e fisioterapista.

 

Dolore alla spalla e la tendinite del capo lungo del bicipite

Il capo lungo del bicipite origina dal tubercolo sopraglenoideo della scapola e si inserisce nella tuberosità del radio (osso dell’avambraccio). Ha un ruolo importante anche nel controllo del movimento della spalla, in particolare nella flessione anteriore e nell’abduzione. È un muscolo che si contrae in moltissimi movimenti della spalla e per questo può andare frequentemente incontro a infiammazioni o lesioni. Le lesioni del capo lungo del bicipite avvengono soprattutto quando si solleva un carico molto pesante, ed è evidente ad occhio nudo come il muscolo bicipite ceda verso il basso, formando una specie di palla sulla parte anteriore del braccio, in prossimità del gomito. Nella maggior parte dei casi la tendinite invece è causata sia da sovraccarichi del muscolo bicipite che da disfunzioni di movimento della spalla.

Dolore alla spalla e l’instabilità di spalla

L’instabilità di spalla è una delle condizioni più frequenti per cui i pazienti si recano in un centro di fisioterapia. Questo perché la spalla è un’enartrosi, un’articolazione che si muove sui tre piani dello spazio, e questa grande mobilità sebbene ci consente di muovere al meglio l’arto superiore, risulta essere il tallone d’Achille di questa articolazione. Le condizioni più note di instabilità sono le lussazioni e le sublussazioni. Si parla di lussazione quando un’articolazione esce totalmente dalla sua sede anatomica, mentre si chiama lussazione quell’evento traumatico in cui l’articolazione esce solo in parte.

Dolore alla spalla e la Slap lesion

Si parla di slap lesion quando si lesiona il cercine glenoideo della scapola, in particolare nel suo margine superiore. Infatti la parola SLAP è l’acronimo inglese di Superior Labral tear from Anterior to Posterior, che può essere tradotto nella nostra lingua come lacerazione antero-posteriore del labbro (cercine glenoideo) superiore”.

Sono stati identificati un totale di quattro tipi di lesioni labrali superiori che coinvolgono l’ancoraggio del bicipite.

  • Il tipo I riguarda la sfilacciatura degenerativa senza distacco dell’inserimento del bicipite.
  • Il tipo II è il tipo più comune e rappresenta un distacco del labbro superiore e del bicipite dal bordo glenoideo.
  • Il tipo III rappresenta una lacerazione del labbro a manico di secchio con un inserto di tendine del bicipite intatto nell’osso.
  • Il tipo IV, il meno comune e rappresenta una lesione del tendine del capo lungo del bicipite con una lacerazione a forma di secchio dell’aspetto superiore del labbro.

Dolore alla spalla e la discinesia scapolare

Si tratta di un’alterazione del normale movimento della scapola sulla gabbia toracica, si ha dunque una difficoltà di controllo motorio.

I principali sintomi della discinesia della spalla sono:

  • debolezza muscolare,
  • ridotta funzionalità e mobilità del braccio
  • dolore in particolari posizioni.

Conclusioni

Il dolore alla spalla può essere causato da diverse strutture anatomiche:

  • tendini,
  • legamenti,
  • muscoli nervi,
  • ossa.

In caso di trauma e conseguente dolore intenso è consigliabile recarsi al pronto soccorso per verificare l’eventuale la presenza di fratture. Diversamente se il dolore è comparso in modo progressivo è opportuno fare una valutazione da un medico o da un fisioterapista specializzato.

Attraverso una valutazione funzionale potrà capire quale struttura sta provocando dolore alla spalla. In caso di dubbi clinici o di un’importante impotenza funzionale sarà utile effettuare una risonanza magnetica, che rimane l’esame diagnostico più importante per le strutture della spalla.

 Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

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Fibromialgia: cos’è e come trattarla

Fibromialgia: cos’è e come trattarla

La fibromialgia, o sindrome fibromialgica, è considerata una malattia reumatica caratterizzata da dolore muscoloscheletrico cronico diffuso, affaticamento, disfunzione cognitiva, disturbi del sonno, umore basso, ansia e depressione.

Spesso a questi segni si sommano altri sintomi che impattano sulla qualità della vita dei pazienti. La stima delle percentuali della sindrome è compresa tra il 2% e il 4% nella popolazione mondiale. Vi è una forte predominanza femminile e si riscontrano percentuali più elevate tra le persone obese e i pazienti con malattie reumatiche autoimmuni; una percentuale significativa di pazienti continua a soffrire di sintomi cronici, nonostante la disponibilità di terapie raccomandate, e mostra una compromissione della qualità della vita.

Troppo spesso incontro persone che esordiscono con… “sono un/a fibromialgico/a”, soffrendo una etichetta che il mondo medicale ha rifilato senza magari una corretta diagnosi, con conseguenze devastanti a causa di una prognosi senza soluzioni!

Tipologia di paziente

La fibromialgia è diffusa prevalentemente nel sesso femminile tra i 30-50. Si stima che la prevalenza della depressione nei pazienti con fibromialgia varia dal 41 all’89%, mentre i disturbi d’ansia vanno dal 41 al 77%. Anche sintomi come affaticamento, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione sono comuni in oltre il 70% dei pazienti.

La varietà e la complessità dei sintomi porta spesso a una diminuzione della partecipazione del paziente nelle attività della vita quotidiana, a una diminuzione della produttività lavorativa e della qualità della vita in generale. I pazienti mostrano conseguentemente a questi fattori una bassa aderenza alla terapia!

Patofisiologia

Sebbene l’origine della fibromialgia sia ancora sconosciuta, ci sono alcune ipotesi sullo sviluppo della riduzione della soglia del dolore. Fattori fisiopatologici tra cui l’alterazione del sistema nervoso centrale, periferico ed autonomo, la fisiologia muscolare ed immunitaria, fattori ormonali, fattori neuroendocrini, marcatori infiammatori, influenze genetiche ed influenze psicosociali producono infatti un’alterata elaborazione e gestione del dolore. Inoltre, le modificazioni dell’umore dei pazienti correlate a fibromialgia (depressione e ansia) potrebbero essere espressione di processi infiammatori a causa del rilascio di citochine nell’organismo prodotto da questi processi. Pertanto, l’ipotesi patofisiologia più accettata riconduce alla sensibilizzazione centrale (di cui ne parlo e ne educo i pazienti).

La diagnosi si basa sui criteri clinici descritti dall’American College of Rheumatology.

Storia di dolore diffuso presente da almeno 3 mesi

Dolore in 11 dei 18 siti di tender point alla palpazione: occipite bilateralmente; cervicale bilateralmente; muscolo trapezio bilateralmente; muscolo sovraspinato bilateralmente: sopra la spina della scapola vicino al bordo mediale; seconda costa bilateralmente; gomiti; glutei bilateralmente; grande trocantere bilateralmente; ginocchio bilateralmente.

 

 

Trattamento

Le attuali linee guida per la gestione dei pazienti con fibromialgia raccomandano sia farmaci che approcci non farmacologici per migliorare i sintomi correlati al dolore. Da raccomandare il movimento regolare e una sana alimentazione che sono imprescindibili per una buona qualità della vita.

Gli interventi non farmacologici sono consigliati come trattamenti di prima scelta. Le linee guida cliniche includono tra le terapie conservative non farmacologiche, l’esercizio terapeutico, la terapia manuale, l’educazione del paziente, e altri approcci alternativi (meditazione, ipnosi, ecc).

Una forte evidenza scientifica è data dall’esercizio terapeutico per quanto riguarda l’intensità del dolore, la disabilità e la funzionalità sul breve termine.

L’esercizio contro resistenza migliora la salute mentale dei pazienti con fibromialgia, riducendo significativamente depressione e ansia e migliorando il sonno, sul quale impatta positivamente anche l’esercizio aerobico. In particolare, secondo la European League Against Rheumatism (EULAR), l’esercizio fisico è l’unico intervento a ricevere un forte grado di raccomandazione, con particolare attenzione agli esercizi aerobici e all’allenamento contro resistenza.

Per quanto riguarda l’utilizzo delle terapie manuali passive vi è evidenza sulla diminuzione intensità del dolore e sulla qualità del sonno a breve termine.

Prove di efficacia suggeriscono anche che l’educazione al paziente, attraverso la ACT therapy (la terapia dell’accettazione e dell’impegno), riduce la disabilità e la depressione a breve e medio termine; mentre gli interventi basati sulla autoconsapevolezza (MBI), come la cognitivo-comportamentale (CBT) è più efficace sul dolore, mentre l’utilizzo della mindfulness è migliore sulla fatica e la depressione.

In generale è possibile concludere che gli interventi non farmacologici per la fibromialgia dovrebbero essere scelti ed individualizzati in base al sintomo predominante, con l’obiettivo di rendere al paziente la migliore qualità di vita auspicabile.

 

Prognosi

Sebbene siano state studiate diverse alternative di trattamento, ad oggi non esiste una cura definitiva per la fibromialgia. Tuttavia, nonostante non sia possibile definire una vera e propria prognosi, va considerato che l’obiettivo della gestione della fibromialgia è quello di alleviare i sintomi, migliorare lo stato di salute dei pazienti e ripristinare la loro motricità e la loro qualità della vita. In questo senso, esiste la solida possibilità di fronteggiare la malattia efficacemente grazie ad un ricco panorama di interventi.

In conclusione, quindi, la persona che soffre di fibromialgia, non è destinata a soffrire per sempre, ma ci sono soluzioni efficaci da consigliare e, soprattutto, da sperimentare.

Dott Lorenzo Rossi, responsabile di DiversaMente Fisioterapia

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Spina Calcaneare : cause e cure

Spina Calcaneare : cause e cure

Una spina calcaneare o sperone calcaneare è una calcificazione ossea dell’osso del tallone del piede che si estende in direzione dell’arco plantare. Questa formazione benigna solitamente si presenta nella parte anteriore ed inferiore del tallone e può arrivare fino ad 1 cm e mezzo di lunghezza: tuttavia, è una formazione mai visibile ad occhio nudo. La spina calcaneare ha una caratteristica ambigua: infatti, è una condizione che può rivelarsi asintomatica, quindi rimarrebbe sconosciuta in quanto non richiederebbe un approfondimento clinico, mentre quando è presente il dolore al tallone, non sempre questo è causato dalla presenza della spina calcaneare stessa. Per questo motivo, è bene affidarsi ad una figura sanitaria specializzata per evitare di eseguire esami diagnostici e terapie poco utili ed inefficaci per l’inquadramento e la risoluzione del problema.

Questa condizione è spesso associata a fascite plantare, una dolorosa infiammazione della banda fibrosa del tessuto connettivo (fascia plantare) che corre lungo la parte inferiore del piede, ovvero la pianta del piede, e collega l’osso del tallone alla dita del piede

 

Perchè viene la spina calcaneare

Gli speroni calcaneari sono causati direttamente da tensioni delle strutture muscolari e legamentose che si protraggono nel tempo. Alla fine, questa tensione eccessiva sollecita l’osso del tallone (calcagno) causando la formazione benigna ossea della spina. Questo quadro clinico è spesso associato ad alterazioni della postura o disfunzioni del movimento.

Infatti, la spina calcaneare si sviluppa nel tempo ed è figlia di un processo di infiammazione cronico: non compare improvvisamente dopo un allenamento o un evento sportivo od un trauma, ma tende a verificarsi, solitamente, quando si ignorano i primi sintomi come il dolore al tallone o alla pianta del piede. 

Lo stress ripetitivo dovuto al camminare, correre o saltare su superfici dure è una causa comune dell’insorgenza dei sintomi: le calzature che indossiamo quotidianamente possono influenzare lo sviluppo di questa patologia, soprattutto quelle che non supportano adeguatamente il piede come i tacchi alti.

La spina calcaneare può anche essere causata da:

  • artrite
  • traumi al tallone
  • eccesso di peso corporeo che provoca uno stress sul piede
  • scarpe scarsamente aderenti e scomode
  • problemi di deambulazione
  • alterazioni posturali e del movimento

Molto spesso le persone che hanno gli speroni calcaneari presentano anche fascite plantare: questa condizione dolorosa interessa il tessuto duro e fibroso che collega la base del tallone alle dita dei piedi. È una delle principipali patologie che affliggono il piede e la caviglia. Soffrire di fascite plantare aumenta esponenzialmente il rischio di sviluppare eventuali spine calcaneari.

 

Come prevenire la spina calcaneare

Prevenire la formazione di spina calcaneare richiede una maggiore attenzione alla salute generale del piede: bisogna fare attenzione agli stress a cui esponiamo quotidianamente i nostri piedi e le strutture ad essi collegate.

Come regola generale non bisogna mai prendere sotto gamba e sottovalutare quando insorge il dolore che si sviluppa al tallone. La così detta tallonite è un sintomo che può essere causato da una spina calcaneare. Il dolore ai talloni può però essere riconducibile anche ad altre patologie del piede come la fascite plantare. Continuare a camminare, fare attività fisica o indossare scarpe che causano instabilità e sovraccarichi al piede, scatenano a volte il dolore al tallone e può portare alla formazione, a lungo termine, di speroni calcaneari.

 

Quali sono i sintomi?

I sintomi di una spina calcaneare possono includere:

  • dolore al tallone
  • infiammazione
  • gonfiore nella parte anteriore del tallone
  • aumentata sensibilità sul tallone

L’area interessata può essere percepita calda e dolente al tatto, con sintomi che possono anche diffondersi su tutto l’arco del piede: solo in rari casi è possibile percepire al tatto una piccola sporgenza ossea. Alcuni speroni calcaneari, o spine calcaneari, potrebbero non provocare alcun tipo di fastidio ed alcun tipo di cambiamento nei tessuti molli o nelle ossa che circondano il tallone: per questo motivo, la loro presenza è rilevabile e visibile solo attraverso un approfondimento diagnostico, come i raggi X e le ecografie o risonanza magnetica.

 

A chi rivolgersi?

L’ortopedico e il fisioterapista sono i candidati ideali per il trattamento conservativo che nella maggior parte dei casi risolve efficacemente questa condizione.

Nel caso queste figure non riuscissero a risolvere il dolore attraverso un percorso conservativo, è il chirurgo ortopedico che si occupa di un’eventuale operazione per la rimozione dello sperone.

 

Trattamenti conservativi

Se hai dolore al tallone che persiste per più di un mese, è importante consultare un fisioterapista esperto che potrà raccomandare trattamenti conservativi come:

  • Esercizi di stretching
  • Utilizzo di scarpe idonee
  • Onde d’urto
  • Taping per far scaricare muscoli e tendini stressati
  • Inserti per scarpe o dispositivi ortopedici
  • Terapia Manuale
  • Rieducazione Posturale

Il dolore al tallone inoltre può rispondere al trattamento con farmaci da banco come acetaminofene, ibuprofene o naprossene. In molti casi, un tutore funzionale può correggere gli squilibri biomeccanici che causano il dolore al tallone e all’arco plantare: inoltre, in rarissimi casi, anche se sarebbe meglio evitare, l’iniezione di un corticosteroide potrebbe alleviare l’infiammazione nell’area interessata.

 

 

 

 

 Per saperne di più leggi l’articolo completo  :

https://www.fisioterapiaitalia.com/blog/spina-calcaneare-che-cos-quali-sono-i-trattamenti-giusti/ 

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